Il Messaggero - di L. Vaccari

31 Lug. 2000

L'Angelo custode

Nicola Piovani confessa che, da qualche tempo, «dopo alcuni colloqui con un amico gesuita»,  si e' riconciliato totalmente con le figurine che tendono a essere una storicizzazione dell’etica, della metafisica, della psicologia: «Quelle del catechismo a fumetti, che hanno accompagnato la nostra crescita». Spiega: «Il Dio con la barba è un espediente lessicale per fare arrivare a un livello infantile, popolare, l’idea che a un altro ceto sociale arriva con il concetto di Big Bang, che è altrettanto inafferrabile, misterioso, pauroso e rassicurante insieme». E’ stato battezzato, ricorda, è cresciuto con i principi della religione cattolica apostolica romana e ha fatto esperienze fondamentali: «Le Elementari dalle monache, le medie dai preti, il Liceo al Mamiani vetero-marxista, l’Università sessantottina». Ma non è un praticante, sottolinea, tranne in alcuni casi. «Ho capito tuttavia che certe figure sono la maniera più immediata per raccontare un concetto difficilmente definibile. Fra queste c’è anche l’Angelo custode; non ci sono soltanto la Madonna o lo Spirito Santo».

 L’Angelo custode è «un modo favolesco» di pensare che esiste quella che i marinai chiamano «la buona stella»: la benedizione che ti accompagna. «Credo di averla sempre avuta sotto forma di fortuna». Non intende la buona sorte di avere successo e di diventare ricco, avverte: «Una volta l’anno ti trovi davanti a dei piccoli bivi e per esempio devi scegliere tra la convenienza e la convinzione. Talora serve una grande forza d’animo per anteporre la convinzione. In questi casi, pensare a un “pennuto” sulla tua spalla che ti aiuta a scegliere con serenità, rinunciando anche a dei privilegi, non ti fa sentire fesso. Ho avuto questa fortuna», sorride Piovani, romano, 53 anni, compositore diviso fra Cinema, Teatro e Televisione, direttore d’orchestra e pianista.

La sua vita artistica è stata segnata dall’apparizione di figure differenti, racconta che si sono materializzate assumendo facce diverse: «Una, sicuramente, è stata quella di Manos Hadjidakis, il musicista greco con il quale, dopo aver preso il diploma in pianoforte, ho cominciato a lavorare e a studiare composizione. Io avevo appena scritto la musica per il mio primo film: Np il segreto di Silvano Agosti. Lui era a Roma per scrivere la musica di un film americano di cui non era troppo convinto e chiese in giro se qualcuno conosceva un giovane orchestratore: quello che, all’epoca, si chiamava “il negro”. Mi offrii. Il giorno dopo cominciai. Dissi ad Hadjidakis le lacune che avvertivo con la composizione. E’ lui che mi ha insegnato ad avere con la Musica un rapporto di libertà mentale, più sano e spregiudicato di quello conservatore dei Conservatori. E’ stato per me un maestro a 360 gradi. Ho continuato a frequentarlo, anche se saltuariamente, a lungo. E’ morto, purtroppo, una decina di anni fa. Quale Angelo custode ha favorito quell’incontro?».

Gli angeli protettori si sono presentati spesso in forme insospettabili. Parlare a un pranzo con Elsa Morante, ricorda Piovani, gli dava «una ricarica etica che poteva durare anche due anni, perché la scrittrice aveva la forza di chi “fa” ancora prima di “dire”». Nelle sue frequentazioni attuali, di questi personaggi c’è poca traccia in giro, ed è una mancanza che gli dà una forte sofferenza. «Dicitori, anche di alto livello, ne incontro tanti, ma non vedo corrispondere alle parole i comportamenti». Questo gli procura un dolore cocente; vorrebbe un minimo di coerenza: «E’ proprio brutto ascoltare il grande autore, o il grande attore, che lancia anatemi contro l’immoralità e poi briga squallidamente per prendere i soldi in nero. Chi mi ha mandato Elsa Morante?».

C’è stato un momento in cui i pochi anni di differenza con Vincenzo Cerami, «io ne avevo 28, lui qualcuno di più», hanno significato molto. «Vincenzo aveva scritto e pubblicato romanzi, era un maestro a cui potevo telefonare e domandare: “La faccio questa cosa? Non la faccio?”. “E quest’altra?”». Pausa. «Ho sempre la sensazione che ci sia stato un unico Angelo custode che mi ha fatto conoscere la persona giusta al momento giusto e scegliere il meglio». La fortuna di un'artista, afferma Piovani, «soprattutto di chi fa un’arte applicata, non di chi sta a casa a scrivere poesie», e quindi lavora per il Cinema, la Musica, il Teatro, e ha a che fare con il mercato, «eh, beh, la buona stella è incontrare le persone giuste. Chi te le fa incontrare? Chi te le manda? Chi m’ha fatto incontrare Marco Bellocchio, che è stato un momento di formazione enorme per me? Ho lavorato al suo fianco una decina d’anni, scrivendo la colonna sonora di sette film. Mi viene sempre di pensare: “Cosa sarebbe accaduto se invece avessi incontrato Franco Zeffirelli?”». E chi lo ha spinto a uscire di casa una sera, aveva 23-24 anni, la sua passione per il Teatro era mortificata da troppi brutti spettacoli, chi gli ha bisbigliato all’orecchio di andare a vedere Carlo Cecchi che faceva Il bagno di Vladimir Majakovskij? «Ho poi girato tre stagioni con la sua compagnia: suonavo la batteria, il pianoforte, era l’epoca delle Cooperative, le idee frizzavano. Quell’incontro mi ha riavvicinato e riappassionato al Teatro di grande qualità, vero, vitale».

Piovani è convinto che un giorno il suo Angelo custode si sia materializzato in Federico Fellini. Racconta: «Squilla il telefono: “Sono l'assistente di Federico Fellini. Il maestro vorrebbe incontrarla domani negli uffici del Teatro 5 di Cinecittà”. Avevo molti amici napoletani burloni, la telefonata aveva tutta l’aria di uno scherzo, sono stato tentato di non andare. Ma sono andato: abbiamo cominciato a parlare di Cinema, di musica, di Teatro, di Nino Rota, di pianoforte, di sassofono, di tante altre cose. E il nostro rapporto è durato 10 anni. Quale angioletto ha fatto combinare l’incontro? E’ stato sicuramente il “pennuto” che voleva bene più a me che a Fellini e giocava dalla mia parte». Sarebbe troppo facile chiedersi: “Chi ha fatto venire in mente a Roberto Benigni che per La vita è bella ci voleva un musicista italiano tipo Piovani?” «Roberto aveva lavorato con un compositore americano strepitoso». E’ accaduto. Ed è arrivato l’Oscar.

L’ultimo intervento che Piovani attribuisce al suo Angelo custode è stato quando, cinque anni fa, ha avuto la tentazione di fare La Pietà: «Pensare di scrivere la musica per lo Stabat Mater della Pietà, arrivare fino in fondo, scommetterci sopra, era una scelta completamente estranea a qualsiasi logica di mercato. Il Giubileo era lontano, di Musica Sacra nessuno parlava, partire per un'impresa nuove per me, mettere insieme due voci stilisticamente lontane, era una scommessa, in termini espressivi, linguistici, che, a ripensarla oggi, mi sembra un po’ spericolata». E’ andata bene. «Sai: quando fai un salto, poi ti giri per guardare indietro: “Madonna mia, se cascavo?...” Ecco, lì, a darmi, quando ho avuto questa idea, avevo 48 anni, a darmi questo pizzico di incoscienza, eliminare gli altri lavori, chiudermi nel mio studio per realizzarla, sicuramente, per forza», ride, «c’è stato questo “pennuto” che mi ha assestato un calcetto per farmi coraggio, mi ha messo dei paraocchi che mi hanno dato sicurezza, e anche quell’improntitudine indispensabile per presentarmi con un opera (“in prima esecuzione assoluta”, si diceva una volta con una frase gonfia) che sarebbe stata ripresa in diretta da Raitre e rappresentata successivamente a Betlemme». Il risultato è stato «molto soddisfacente», minimizza. Ma súbito aggiunge che considera La Pietà la cosa migliore che ha scritto: «Sì, penso di sì. Se dovessi riconoscermi in un livello espressivo che abbia la sintesi di quello che sono, credo che sceglierei La Pietà».

Non sa esattamente se il “pennuto” che gli sta sulla spalla favorisca realmente certi incontri, conclude Nicola Piovani. «In ogni caso mi piace pensarlo. Mi piace addirittura pensare che lavori non tanto e non solo per farmi incontrare le persone giuste, ma soprattutto per evitarmi di incontrare le persone sbagliate».

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