Trieste, Teatro Verdi – Amorosa presenza

Arriva in prima mondiale sulle scene del Teatro Verdi di Trieste, con due anni di ritardo, rispetto al programmato debutto nella Stagione 2019-2020, e a quasi 45 dalla sua prima ideazione, Amorosa presenza, opera del Maestro Nicola Piovani ispirata al romanzo omonimo che Vincenzo Cerami stava per dare alle stampe nel 1977. Accantonata per varie vicende, Piovani vi si è riaccostato pochi anni or sono a seguito della commissione del Teatro tergestino ripartendo dal libretto scritto con Aisha Cerami.

Il soggetto è solo apparentemente esile: Orazio si innamora di Serena, una giovane che ha veduto, ma alla quale non ha il coraggio di parlare. Escogita così uno stratagemma: travestirsi da donna, assumendo l’identità di Letizia, per avvicinarla e parlarle di Orazio perché tra femmina e femmina / la confidenza normale sarà / e la farò sorridere, / s’invaghirà di me. Quando Orazio-Letizia la incontra, fra le due nasce un’amicizia e ben presto le lodi intessute da Letizia fanno innamorare Serena di Orazio. A questo punto la situazione si capovolge e la ragazza, invaghita dell’idea dell’amore per un ragazzo mai visto, decide di travestirsi da uomo e assumere l’identità di Carmine, per avvicinarlo perché da uomo a uomo / c’è meno diffidenza, / mentre da uomo a femmina / c’è sempre un imbarazzo / schivo di partenza. La situazione presentata in precedenza, dunque, si ripete e il primo atto si conclude con i due giovani sempre più innamorati, pur senza essersi mai effettivamente incontrati, mentre i loro due alter ego hanno stretto amicizia. Accanto a loro troviamo due figure nate dalla loro fantasia e memoria: il Tutore di Orazio e la Tata di Serena, con i cui i due si confidano e parlano e i cui consigli, tuttavia, ignorano. Le cose si complicano quando Serena insiste con Letizia perché le faccia conoscere Orazio e Orazio insiste per conoscere Serena: il timore di rivelarsi fa scattare la gelosia e la conseguente rottura dell’amicizia così che ai due rimane solo l’idea dell’amore, la necessità di un’Amorosa presenza. Alla fine, decidono di cercarsi nuovamente, ancora una volta nei reciproci travestimenti; durante una festa cittadina Carmine/Serena balla con Letizia/Orazio e fra i due scatta il bacio.

Il libretto raffinato, agile, intelligente, innesta su questa trama antichissima fatta di travestimenti ed equivoci che rimanda al teatro comico greco-latino e ci fa pensare al Così fan tutte di Mozart – Da Ponte ma anche al Conte Ory rossiniano, un caleidoscopico gioco di citazioni letterarie, rovesciamenti dei modelli e riflessioni filosofiche. Perché Tutore, evocato da Orazio, appare a tratti un cinico Mefistofele (La passione / è un inganno/ come la magia di un elisir) che si compiace di fare il verso a Lorenzo il Magnifico (Benedetta / giovinezza / che rincorri il vento e non lo sai. / Vai felice ) mentre Tata catalizza in sé Marta e alcuni aspetti di Berta; ma soprattutto essi sono la proiezione dei due giovani su un asse metatemporale dominato dal rimpianto per ciò che si sarebbe potuto avere o si è posseduto per un attimo e poi è svanito, per paura o, forse, eccessivo egoismo. Tutore cita per ben due volte la storia di Eco e Narciso: la ninfa che si strugge d’amore e il bel Narciso troppo innamorato di sé per accorgersene; così Orazio, nei panni di Letizia, è costretto a confessare a Serena, che le chiede di confessare se sia innamorata di Orazio, di amare sé stesso: è scontato che mi amo. / Mi sono sempre amato! Da quando sono nato. Da questo ripiegamento su sé stessi nasce dunque l’inganno (che bell’affanno), il timore del confronto, la paura del fallimento. Il finale manca di una vera scena dell’anagnorisis, ovvero del riconoscimento in corrispondenza del bacio: Tutore e Tata cantano Il bacio è un bell’inganno, se l’amore (….) arriva sempre a meta: questo mancato disvelamento, potrebbe forse alludere al fatto che Serena ami Letizia e Orazio ami Carmine? Tutto il libretto è pervaso da una profonda malinconica e non a caso, forse, il vero protagonista, onnipresente sulla scena è l’Albero, simbolo della vita che segue il suo corso, citazione visiva di Mimnermo (Noi come le foglie che la bella stagione dai molti fiori nutre), che canta con vaghi accenni al Leopardi del “Canto di un pastore errante alla Luna”, la quale significativamente prende il suo posto nella scena finale: se nel cielo è spuntata la luna, / per l’amore ci son mille strade.

Le citazioni letterarie, le reminiscenze, le allusioni sono davvero molteplici nel testo, come nella partitura di Piovani, ricchissima di spunti formali, impasti sonori, citazioni ritmiche ed echi melodici che vanno da Mozart a tutto l’ultimo Novecento, senza ripudiare generi e sound più popolari che la cosiddetta musica colta aveva già accolto in sé. Se dunque volessimo inquadrare in una corrente precisa quest’opera nuovissima, potremmo collocarla nell’ampia definizione di postmodernismo, per quel suo prolifico citazionismo generativo che può produrre effetto solo grazie alla profonda conoscenza e alla assoluta padronanza tecnica da parte dell’autore di tutti i materiali e stili a cui attinge e che porta a compimento la riflessione oraziana (è un caso che il protagonista abbia il nome del Poeta latino?) sull’originalità, la quale non esiste se non nella callida iunctura, nell’intelligente e furba capacità di trovare accostamenti nuovi per ciò che già esiste. Si spiegano allora anche il sottotitolo di “opera semiseria” e l’uso ironico di forme riconoscibilissime del melodramma (duetti, cavatine, arie) su ritmi blues, jazz, echi di Weill, Piazzolla, ma anche di Rossini, Donizetti, Verdi, che risponde a un atteggiamento nichilistico verso la possibilità del nuovo a tutti i costi e a un’attenzione viva per tutti i codici, posti su un piano paritario in cui la storia culturale dell’umanità diviene sincreticamente fruibile. Piovani realizza tutto ciò con grande naturalezza, e intimo intellettualismo, capace di incantare e ammiccare con una orecchiabile cantabilità al pubblico. Se si dovesse fare un appunto, forse il secondo atto vive troppo di citazioni del primo, ma mantiene intatta la freschezza narrativa che è il grande fascino di questa prova del Maestro.

Chiara Muti, costruisce uno spettacolo elegante e arguto che della musica di Piovani e del testo coglie lo spirito e l’essenza. Grazie alle bellissime scene di Leila Fteita, alle poetiche, ottime luci di Vincent Longuemare, coadiuvata da Noa Naamat assistente alla regia, realizza un impianto visivo e una regia tutti basati su citazioni che vanno da Magritte, nelle figure delle comparse e nell’albero, alle prospettive di Crali fino a Les Amoureux di Peynet e alcune evocazioni di Bansky. Sobria nella gestualità, non rinuncia a cliché da varietà ben armonizzati con le funzionali e mai invadenti coreografie di Miki Matsuse.

Ottimo il cast a partire da Motoharu Takei, eccellente nella parte di Orazio /Letizia: voce non potente di tenore lirico, ha dalla sua una tecnica sicura e buone doti di fraseggiatore; Maria Rita Combatelli presta a Serena /Carmine una voce esile che ben incarna il carattere sognante della protagonista e offre una recita in crescendo; Aloisa Aisemberg è Tata: bel timbro di mezzosoprano, infonde al suo personaggio toni di velata malinconia, specie nell’aria “Una volta è successo anche a me”. Tutore è il baritono William Hernandez, dotato di un timbro caldo e nobile che conquista il pubblico, mentre l’Albero è Cristian Saitta basso nobile al cui canto Piovani affida l’eredità del Sarastro mozartiano. Il Coro del Teatro Verdi impegnato fuori scena diretto dal Maestro Paolo Longo riconferma i livelli delle sue passate prove, al pari dell’Orchestra del Teatro Verdi che recupera i trascorsi splendori sotto la guida dell’Autore.
Successo calorosissimo per tutti che speriamo non si limiti alle sei repliche programmate.

Teatro Lirico Giuseppe Verdi – Stagione lirica e di balletto 2022
AMOROSA PRESENZA
Libretto di Aisha Cerami e Nicola Piovani
liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Vincenzo Cerami
Musica di Nicola Piovani
Nuova commissione della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi
Prima esecuzione mondiale

Serena Maria Rita Combattelli
Orazio Motoharu Takei
Tata Aloisa Aisemberg
Tutore William Hernanderz
L’albero Cristian Saitta

Orchestra, coro e tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi
Direttore Nicola Piovani
Maestro del coro Paolo Longo
Regia Chiara Muti
Scene e costumi Leila Fteita
Light designer Vincent Longuemare
Coreografie Miki Matsuse
Assistente alla regia Noa Naamat
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

Trieste, 21 gennaio 2022

La Compagnia della luna

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